LO SCEICCO BIANCO
(Italia 1952, b/n, 86’)
di Federico Fellini. Con Brunetta Bovo, Leopoldo Trieste, Alberto Sordi, Giulietta Masina, Ernesto Almirante.

In viaggio di nozze a Roma, la giovane sposina Wanda (Bovo) si eclissa per raggiungere il suo eroe dei fotoromanzi, lo "sceicco bianco" (Sordi), a cui scrive assiduamente firmandosi "bambola appassionata". Delusa dalla mediocrità del proprio idolo, torna dal marito (Trieste) che, intanto, si è confessato con la prostituta Cabiria (Masina) e la sua collega. Il primo film di cui Fellini ha piena responsabilità registica: attraverso la vicenda di piccoli provinciali che scoprono la fabbrica dei sogni, inaugura l’elemento autobiografico e la propensione fantastica, costanti del suo cinema. Divertente fino al grottesco nel rappresentare un ambiente di piccole volgarità. Antonioni è coautore con Fellini del soggetto, Flaiano della sceneggiatura.

IL BIDONE
(Italia 1955, b/n, 104’)
di Federico Fellini. Con Broderick Crawford, Richard Basehart, Giulietta Masina, Franco Fabrizi, Lorella De Luca.

Una coppia d'inglesi (Bergman e Sanders) in grave crisi coniugale arriva a Napoli. Estranei l'uno all'altra, compiono da stranieri due diversi percorsi nella realtà che li circonda, ma alla fine si ritrovano, durante una processione, stretti in un abbraccio. Il disagio della civiltà borghese a confronto con una dimensione panica della vita: un viaggio con precise coordinate geografiche, che segue però gli angosciosi tracciati interiori dei personaggi. Le sequenze semidocumentaristiche (Pozzuoli, i calchi di gesso delle vittime di Pompei) si fondono alla perfezione col racconto, rispecchiando sempre lo stato d'animo dei protagonisti. Dopo il neorealismo e prima del cinema esistenziale di Antonioni, Rossellini stacca la macchina da presa dai fatti e impone agli attori una recitazione straniata, arrivando a cogliere il senso profondo dell'alienazione contemporanea nella vuota attesa del Nulla, a cui però riesce ancora a trovare una soluzione. Fu stroncato quasi ovunque (negli Usa si rimpiangeva la Bergman hollywoodiana, in Italia Il Rossellini di Paisà), tranne in Francia: i Cahiers inclusero il film tra i migliori dieci di ogni epoca, Bazin, Rivette, Truffaut e Godard scrissero saggi acuti e recensioni entusiaste. Naturalmente avevano ragione. Commercialmente fu un disastro e per il regista diventò sempre più difficile trovare finanziamenti.

CRONACA DI UN AMORE
(Italia 1950, b/n, 110')
di Michelangelo Antonioni. Con Lucia Bosè, Massimo Girotti, Gino Rossi, Rosi Mirafiori, Vittoria Mondello, Franco Fabrizi.

La moglie di un ricco industriale (Bosè) riallaccia il rapporto con un vecchio amore (Girotti) e insieme a lui progetta di uccidere il marito. Una struttura da giallo, la crisi della borghesia, l’analisi psicologica: a quasi quarant’anni Antonioni debutta nel lungometraggio con un grande film (curiosamente simile nell’intreccio all’esordio di Visconti, Ossessione), prendendo le distanze dal neorealismo e inaugurando il cinema del disagio esistenziale con lunghi e lenti piani sequenza, in contrasto con la sintassi spezzata degli anni Quaranta. Più della storia, conta l’inedito discorso di classe che mostra una borghesia vuota, ipocrita ed egoista: sono trascorsi solo cinque anni dalla fine della guerra, ma per i futili esponenti dell’alta società milanese sembra che non sia accaduto nulla. È il film rivelazione di Lucia Bosè.

IL GRIDO
(Italia 1957, b/n, 116’)
di Michelangelo Antonioni. Con Steve Cochran, Alida Valli, Dorian Gray.

Abbandonato dall’amante (Valli), l’operaio Aldo (Cochran) si mette in viaggio con la figlia per cercare un lavoro. Deluso anche da una serie di fugaci rapporti sentimentali, cerca di tornare con la sua ex amante che però lo respinge ancora: umiliato e disperato, sale su una torre per suicidarsi.
Costruito come un susseguirsi di incontri e situazioni lungo un emblematico vagabondaggio padano, il film affronta i temi dell’individualismo in una chiave insolita per i tempi, dalla parte di un proletario a cui non riesce di "ricondurre i temi più ferocemente interiori all’interno di un quadro di lotte collettive capace di risolverli". Rifiutando ogni acme drammatico prima del tragico finale, Antonioni usa indugi, ritardi narrativi e il ritmo insinuante di lunghi piani sequenza per penetrare la crisi di un uomo "contaminato dal male oscuro dell’angoscia" e che trova il suo contrappunto in un paesaggio inquietato dai simboli del progresso (le pompe di benzina, le corse dei motoscafi, i lavori per l’aeroporto) e in una serie di racconti femminili che gli ricordano i diversi aspetti di una medesima sconfitta. Gran premio della critica al festival di Locarno.

STROMBOLI TERRA DI DIO
(Italia 1949, b/n, 107')
di Roberto Rossellini. Con Ingrid Bergman, Mario Vitale, Renzo Cesana. 

La profuga lituana Karin (Bergman) per diventare cittadina italiana sposa Antonio (Vitale) una guardia del campo di internamento in cui si trova. Ma a Stromboli (dove l’uomo fa il pescatore) patisce duramente la sua condizione di donna e di straniera. Incinta, decide di fuggire con l’aiuto del guardiano del faro: sola, di notte sulle pendici del vulcano, è presa da smarrimento. All’alba invoca da Dio coraggio e comprensione. Giocato sul contrasto tra due culture, uno dei più intensi ritratti di donna rosselliniani, mentre la natura ostile e selvaggia è il presupposto di un dramma che assume proporzioni cosmiche. Le sequenze documentaristiche (la mattanza, l’eruzione del vulcano) adottano il punto di vista della protagonista e si fondono col racconto. Il film che fece incontrare Rossellini e la Bergman fu poco apprezzato all’epoca, e addirittura boicottato dagli americani, che moralisticamente non perdonarono alla Bergman - ancora sposata - l’amore per Rossellini.

EUROPA '51
(Italia 1952, b/n, 110’).
di Roberto Rossellini. Con Ingrid Bergman, Alexander Knox, Ettore Giannini, Giulietta Masina, Bill Tubbs.

Irene (Bergman), la moglie di un industriale americano che vive a Roma, dopo il suicidio del figlioletto che si sentiva trascurato, suggestionata dal cugino comunista si dà alla carità sociale, diventando amica di una "vedova" con prole a carico (Masina). Nel suo fervore missionario, affronta e patisce l’alienazione del lavoro in febbrica: preannuncio della follia cui la ridurrà la società ipocrita e moralista, lieta di sbarazzarsi di lei richiudendola in una casa di cura. Pazza o santa, il personaggio di Irene turbò le coscienze dell’Italia ideologizzata del tempo, e suscitò discussioni sulla fine del neorealismo. è uno dei più intensi ritratti di donna rosselliniani, girato con stile "austero e rigoroso, spoglio a volte fino all’ascesi".

SCIUSCIA'
(Italia 1946, b/n, 95’)
di Vittorio De Sica. Con Aniello Mele, Bruno Ortensi, Rinaldo Smordoni, Franco Interlenghi, Anna Pedoni. 

Per comprare un cavallo bianco, due piccoli lustrascarpe romani (Smordoni e Interlenghi) si trovano coinvolti a loro insaputa in un furto e finiscono al riformatorio. La fuga sarà ancora più drammatica dell’esperienza carceraria. Ritenuto il terzo capolavoro del neorealismo (dopo Roma città aperta, 1954 e Paisà, 1946, di Rossellini), è un brusco film-realtà permeato dall’inconfondibile surrealismo fiabesco di Zavattini, autore del soggetto e della sceneggiatura, anche se l’idea del film è di De Sica. Nella prima parte la macchina da presa si muove al passo dei personaggi, secondo la poetica zavattiniana del "pedinamento" e della "distrazione", mentre in seguito si concentra più sui dettagli e sull’amicizia tra i due ragazzi e sulla vita in riformatorio. Rivisto oggi, Sciuscià (dall’americano shoeshine, lustrascarpe) è una favola dolorosa, ingenua forse, ma piena di vigore, emozionante nel suo umanesimo dismesso e marginale. In Italia fu un fiasco commerciale, negli Usa ottenne l’Oscar come miglior film straniero e un ampio consenso di pubblico. 

UMBERTO D
(episodio dal film Le streghe, Italia/Francia 1967, col., 31')
di Vittorio De Sica. Con Carlo Battisti, Lina Gennari, Ilena Simova, Memmo Carotenuto, Lamberto Maggiorani.

La misera pensione dello Stato non basta all’anziano ex funzionario Umberto Domenico Ferrari (Battisti) per mantenere sé e il suo cagnolino. Assillato dai debiti con la padrona di casa (Gennari) e incapace di chiedere l’elemosina, cerca di suicidarsi buttandosi sotto un treno: ma non ci riuscirà perché il cane scappa via e lui istintivamente lo insegue. Capolavoro di De Sica, è uno dei film più belli sulla vecchiaia e la solitudine della storia del cinema, animato da un grande senso di umana dignità. Sviluppandosi con una narrazione sobria e disadorna e con quell’impressione di realtà quasi documentaria propria del neorealismo, offre una delle migliori realizzazioni della poetica del quotidiano di Cesare Zavattini, autore della sceneggiatura. Eccezionale l’interpretazione del protagonista, Carlo Battisti, che non è attore professionista ma professore di glottologia all’Università di Firenze, all’epoca settantenne. Il film scatenò l’ira dei benpensanti, di Giulio Andreotti (al tempo sottosegretario allo spettacolo) e di tutti quelli che pensavano che i panni sporchi si dovessero lavare in casa.

ACCATTONE
(Italia 1961, b/n, 116')
di Pier Paolo Pasolini. Con Franco Citti, Silvana Corsini, Adriana Asti.

Folgorante esordio di Pasolini che mette al centro della storia i ragazzi delle borgate romane e la loro derelitta quotidianità. Nel raccontare un’estate del borgataro Cataldi Vittorio detto "Accattone" (Citti) e della prostituta Maddalena che lo mantiene (Corsini), Pasolini rinuncia a ogni tentazione di realismo: con immagini semplici, quasi ieratiche (in uno splendido bianco e nero fotografato da Tonino Delli Colli), con movimenti di macchina funzionali e asciuttezza di linguaggio, ma con musica da "largo sacrale" (la Passione secondo Matteo di Bach) il film racconta "un’angoscia che è preistorica rispetto a quella esistenzialistica". Lontano dall’esperienza del neorealismo, il primo film di Pasolini rivela la matrice populista nella descrizione - comune ai suoi romanzi degli anni Cinquanta, Ragazzi di vita e Una vita violenta - di una "vitalità sottoproletaria autentica e tragica", contrapposta tanto al mondo borghese, quanto a quello proletario. Franco Citti, come poi in Edipo re, è doppiato da Paolo Ferrari, la Guidi dalla Vitti. Sergio Citti (che collaborò ai dialoghi) interpreta un cameriere, Adele Cambria è Nannina, Elsa Morante una detenuta.

EDIPO RE
(Italia 1967, col., 104’)
di Pier Paolo Pasolini. Con Franco Citti, Silvana mangano, Alida Valli, Julian Beck, Carmelo Bene, Ninetto Davoli.

Versione della tragedia di Sofocle in forma di saggio, con gli opportuni riferimenti alla psicoanalisi. La storia dell’uomo (Citti) che, inconsapevolmente, uccide il padre, sposa la madre (Mangano) e, quando scopre la verità, si acceca, diventa per Pasolini un dramma universale e al tempo stesso autobiografico. Prologo negli anni Venti, epilogo nella Bologna moderna, parte centrale in una immaginosa Grecia barbara e fuori dal tempo (ricostruita in Marocco). Pasolini compare nei panni del gran sacerdote. Per il ruolo di Tiresia, interpretato dall’animatore del Living Theater Julian Beck, Pasolini aveva scritturato Orson Welles. Straordinari i costumi "primitivi" di Danilo Donati.

APPUNTI PER UN FILM SULL'INDIA
(Italia 1969, b/n, 34’).
di Pier Paolo Pasolini.

Alla Mostra del cinema di Venezia del 1968, insieme a Teorema, Pasolini presentò anche il mediometraggio Appunti per un film sull’India, girato nel dicembre 1967 e prodotto dalla Rai. Naldini spiega nella sua biografia pasoliniana che gli "appunti" si riferivano a un film "sulla storia di un marajà che, secondo una leggenda mitica indiana, offre il proprio corpo alle tigri per sfamarle (questo, idealmente, prima della liberazione dell’India); e, dopo la liberazione dell’India, sempre idealmente, la famiglia di questo marajà scompare perché i suoi membri muoiono di fame uno a uno durante una carestia".
Pasolini aveva dapprima progettato di fare un film sullo sviluppo di una coscienza politica nelle nazioni del Terzo Mondo,
usando racconti con radici nella cultura locale che risultassero omogenei grazie a ciò che definiva un "sentimento violentemente e magari anche velleitariamente, rivoluzionario". Pasolini effettuò le riprese cinematografiche per le strade, soprattutto a Bombay e nelle sue estreme, poverissime periferie, con la cinepresa in spalla, riprendendo gente comune e dialogando con intellettuali indiani. Vuole "verificare" la propria "concezione poetica del film" e così presenta a persone di ogni estrazione sociale l’idea di realizzazione della storia del marajà. Ascolta e registra opinioni, commenti, suggerimenti; e coglie, sui volti vecchi e giovani, nei gesti, nei sorrisi, una incredibile ricchezza di espressioni.

APPUNTI PER UN'ORESTIADE AFRICANA
(Italia 1969, b/n, 70').
di Pier Paolo Pasolini.

Durante la lavorazione di Appunti per un film sull’India, Pasolini progettò di allargare il discorso ai temi della religione e della fame e ai problemi del Terzo Mon-do, girando episodi che rappresentassero alcune realtà, dai paesi africani e arabi, all’America Latina e ai ghetti neri nordamericani. Il progetto si rivelò irrealizzabile, anche per difficoltà di produzione. Rimasero ampi spezzoni di pellicola, gli Appunti per un poema sul Terzo Mondo e la sceneggiatura de Il padre selvaggio. Pasolini precisò: "Quel film dovevo girarlo in diversi paesi del Terzo Mondo (..) Era quindi una sorta di documentario, di saggio. Non lo potevo concepire che in questa forma". Se il film non vedrà mai la luce, Pasolini girò però per la televisione italiana un documentario Appunti per un’Orestiada africana, del quale dirà Moravia: "(..) è uno dei più belli di Pasolini. Mai convenzionale, mai pittoresco, il documentario ci mostra un'Africa autentica, per niente esotica e perciò tanto più misteriosa del mistero proprio dell'esistenza, coi suoi vasti paesaggi da preistoria, i suoi miseri villaggi abitati da un'umanità contadina e primitiva, le sue due o tre città modernissime già industriali e proletarie. Pasolini "sente" l'Africa nera con la stessa simpatia poetica e originale con la quale a suo tempo ha sentito le borgate e il sottoproletariato romano".

LE MURA DI SANA'A
(Italia 1970, col., 13’).
di Pier Paolo Pasolini.

Alla fine delle riprese del Fiore delle Mille e una notte, effettuate nello Yemen, Pasolini girò il film-documentario Le mura di Sana'a.
"Era l’ultima domenica che passavamo a Sana'a, capitale dello Yemen del Nord", disse Pasolini. "Avevo un po’ di pellicola avanzata dalle riprese del film.
Teoricamente non avrei dovuto possedere l’energia per mettermi a fare anche questo documentario; e neanche la forza fisica. Invece energia e forza fisica mi son bastate, o perlomeno le ho fatte bastare. (...) Si tratterà forse di una deformazione professionale, ma i problemi di Sana'a li sentivo come problemi miei. La deturpazione che come una lebbra la sta invadendo, mi feriva come un dolore, una rabbia, un senso di impotenza e nel tempo stesso un febbrile desiderio di far qualcosa, da cui sono stato perentoriamente costretto a filmare (..) È uno dei miei sogni occuparmi di salvare Sana’a e altre città, i loro centri storici: per questo sogno mi batterò, cercherò che intervenga l’Unesco". Notevole e commosso il commento di Pasolini, che si appella all’Unesco perché protegga quelle bellezze come patrimonio storico-culturale dell’intera umanità.

NETTEZZA URBANA
(Italia 1948, b/n, 9’).
di Michelangelo Antonioni

L’anno seguente a Gente del Po, Antonioni gira N.U. documentario sulla vita degli spazzini a Milano. "Sentivo già da tempo una stanchezza istintiva verso le tecniche e i modi di racconto, normali e convenzionali, del cinematografo, fin dai primi documentari, soprattutto da N.U., che avevo già girato in modo piuttosto diverso da quello fino ad allora conosciuto. (...) Sentivo il bisogno di eludere certi schemi che si erano venuti formando... Cercai di fare un montaggio assolutamente libero (...) a lampi, a inquadrature staccate, isolate, a scene che non avessero nessun nesso l’una con l’altra ma che dessero semplicemente un’idea più meditata di quello che volevo esprimere".

GENTE DEL PO
(Italia 1943-1947, b/n, 9’).
di Michelangelo Antonioni

Nel 1943, costretto dagli eventi a tornare in Italia, Antonioni riesce, nella situazione caotica delle strutture cinematografiche, a iniziare Gente del Po, il suo primo cortometraggio. Ha detto il regista: "Un documentario sulla pesca, sui pescatori, sul trasporto con i battelli: uomini cioè, non cose e luoghi". Non può però concluderlo, la guerra lo costringe a lasciare Roma. Nel 1947 rintraccia il materiale girato, lo monta e finisce il documentario.

SUPERSTIZIONE
(Italia 1948, b/n, 9’).
di Michelangelo Antonioni

Nel 1943, costretto dagli eventi a tornare in Italia, Antonioni riesce, nella situazione caotica delle strutture cinematografiche, a iniziare Gente del Po, il suo primo cortometraggio. Ha detto il regista: "Un documentario sulla pesca, sui pescatori, sul trasporto con i battelli: uomini cioè, non cose e luoghi". Non può però concluderlo, la guerra lo costringe a lasciare Roma. Nel 1947 rintraccia il materiale girato, lo monta e finisce il documentario.

L'AMOROSA MENZOGNA
(Italia 1948, b/n, 10’).
di Michelangelo Antonioni

L’amorosa Menzogna è un breve inchiesta sul mondo dei fotoromanzi tema che tornerà più ampiamente in un film realizzato da Federico Fellini (Lo sceicco bianco).