I GIOVANI ARRABBIATI
(Look back in anger, Gb 1959, b/n, 99')
di Tony Richardson. Con Richard Burton, Mary Ure, Claire Bloom, Donald Pleasence.

Insoddisfatto della vita, Jimmy Potter (Burton) non sa fare altro che litigare con la moglie (Ure) incinta, finché lei decide di andarsene. Prima cerca di consolarsi con l'amica della moglie (Bloom), poi, saputo che il bambino è nato morto, decide di tornare sui suoi passi. Tratto dal dramma Ricorda con rabbia di John Osborne, già diretto da Richardson in teatro e qui adattato da Nigel Kneale, è il film che l'ha reso noto e uno dei più significativi del Free Cinema. Il tema (il disfacimento della società borghese) e lo stile (un realismo spoglio e crudo) rappresentarono un'autentica innovazione nel cinema britannico dell'epoca e un punto di riferimento fondamentale per un'intera generazione di registi. Rispetto all'edizione teatrale, la tensione claustrofobica risulta ridotta, ma le doti istrioniche di Burton restituiscono appieno le sensazioni di frustrazione, di vuoto e di rabbia impotente che animano il dramma. L'intervento dell'attore giocò un ruolo fondamentale anche nella ricerca dei finanziamenti.

MORGAN MATTO DA LEGARE
(Morgan, a suitable case for treatment, Gb 1966, b/n, 97')
di Karel Reisz. Con David Warner, Vanessa Redgrave.

Il pittore anarchico Morgan Delt (Warner), ossessionato da una madre stalinista e teorico del ritorno dell'uomo alla scimmia, cerca di riconquistare l'ex moglie Leonia (Redgrave), mettendo scompiglio nella Londra bene travestito da gorilla. Finirà in manicomio a fare aiuole a forma di falce e martello. Scritto da David Mercier (Providence), un punto di svolta nel Free Cinema inglese: la libertà formale e il gusto della gag che erano stati propri di certi film di Anderson e Lester, si mescolano a un'autoironia venata di malinconia che sembra preludere a tempi più bui. Warner è strepitoso; a Cannes venne però premiata la Redgrave.

SENZA UN ATTIMO DI TREGUA
(Point blank, Usa 1967, col., 92')
di John Boorman. Con Lee Marvin, Angie Dickinson, Keenan Wynn.

Fregato dal suo socio (Wynn) in una rapina, e lasciato come morto, un gangster, Walker (Marvin), si vendica anni dopo, con l'aiuto della sorella (Dickinson) della moglie, che si era suicidata dopo averlo tradito. Noir ambientato in parte nel penitenziario abbandonato di Alcatraz con uno stile shock pieno di virtuosismi visivi, che mescola liberamente i piani temporali e predilige le ellissi e le sospensioni. Tipico prodotto semisperimentalista degli anni Sessanta (sceneggiato da Alexsander Jacobs. David Newhouse e Rafe Newhouse a partire dal romanzo Anonima carogne di Richard Stark, alias Donald Westlake), spesso irritante e geniale allo stesso tempo. Marvin, che alterna esplosioni di violenza a una freddezza quasi metafisica, dà una delle sue interpretazioni migliori. Lo stesso personaggio sarà interpretato anche da Robert Duval in Organizzazione crimini (1973) e Mel Gibson in Payback - La rivincita di Porter (1998).

FAMILY LIFE
(Gb 1971, col., 110')
di Ken Loach. Con Sandy Ratcliff, Bill Dean, Grace Cave. 

Una ragazza della piccola borghesia (Ratcliff), con una madre autoritaria che l'ha costretta ad abortire (Cave) e un padre debole (dean), si rifugia nella schizofrenia ed è curata con l'elettroshock da un medico che non capisce le origini psicologiche della malattia. Tratto dall'originale televisivo di David Mercer In two minds e direttamente ispirato alle teorie sull' "io diviso" dell'"antipsichiatra" Ronald Laing (la "normalità" e il rispetto delle convenzioni possono portare alla rovina psichica di una persona), il film è girato con uno stile secco e documentaristico e stigmatizza, con ferocia glaciale, l'influenza della famiglia nell'alienazione e nella castrazione dei bisogni profondi dei giovani. Il film, che risente molto dell'atmosfera libertaria di quegli anni, si fa ancora apprezzare per la sua forza polemica e per la straordinaria prova di recitazione della protagonista.

MESSAGGERO D'AMORE
(The go-between, Gb 1971, col., 110')
di Joseph Losey. Con Dominic Guard, Julie Christie, Alan Bates, Edward Fox, Margaret Leighton. 

Invitato a passare l'estate del 1900 nella villa di un compagno di scuola, il tredicenne Leo (Guard) diventa il corriere delle lettere d'amore tra l'aristocratica Marian (Christie) e il fattore Ted (Bates): scoprirà sulla sua pelle cos'è la differenza di classe e che perfidia si nasconda dietro il raffinato formalismo della società vittoriana. Sceneggiato da Harold Pinter (dal romanzo L'età incerta di P.L. Hartley), è un minuzioso ritratto "dell'educazione all'esistenza e al dolore", contrappuntato, in un magistrale montaggio sonoro e visivo, dai ricordi dei protagonisti ormai vecchi. Incantevoli "le scene di vita associata (la preghiera comune prima di colazione, la partita di cricket, il taglio della torta di compleanno) che descrivono con inedita incisività usi e costumi di un mondo trapassato". Palma d'Oro a Cannes.

TOMMY
(Gb 1975, col., 108')
di Ken Russell. Con Roger Daltrey, Ann-Margret (Ann Margaret Olsson), Oliver Reed, Elton John, Eric Clapton, Tina Turner, Keith Moon, Jack Nicolson, Robert Powell, Paul Nicholas. 

Traumatizzato dalla morte del padre, Tommy (Daltrey) diventa sordo, cieco e muto. Passa attraverso una serie di dolorose esperienze - l'incontro con la regina dell'Lsd (Turner), le torture del cugino Kevin (Nicholas), la violenza dello zio Ernie (Moon) - poi diventa una celebrità battendo l'invincibile Pinball (John) a flipper e ritrova i propri sensi, ma è solo quando si libera dell'avidità della madre e del patrigno (Margret e Reed) che Tommy sarà veramente libero e padrone di se stesso. Coloratissima versione dell'omonima opera rock di Pete Townshend e degli Who prodotta da Robert Stingwood, dove Ken Russell usa la sua scatenata fantasia per dare immagini alla voglia di purezza e religiosità della generazione rock. Ne esce un film ridondante e kitsch, ma anche energico e ritmatissimo, da cui si stacca la performance di Elton John, che canta Pinball Wizard. Comparsata di lusso per Nicholson come medico specialista. Pete Townshend interpreta se stesso. è il primo film a utilizzare il sistema stereo Dolby.

BLADE RUNNER
(Usa 1982, col., 124')
di Ridley Scott. Con Harrison Ford, Rutger Hauer, Sean Young, Edward James Olmos, Daryl Hannah, Joe Turkel, Joanna Cassidy, Brion James, M. Emmet Walsh.

Nella Los Angeles del 2019 un cacciatore di taglie, Rick Deckard (Ford) deve ritrovare alcuni Nexus 6 guidati dal cupo Roy (Hauer), replicanti dalle forme umane sfuggiti al controllo della compagnia costruttrice, la Tyrell Corporation. Sarà aiutato da Rachel (Young), replicante di una nuova generazione, capace di provare sentimenti e ricordare il passato. Molto liberamente tratto dal romanzo Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick (da Hampton Fancher e David Webb Peoples), il film innova profondamente il genere fantascientifico riuscendo a usare in maniera finalmente organica alla narrazione l'apparato tecnologico degli effetti speciali (di Trumbull, Yuricich e Dryer). La scenografia futuribile (di Mead) con la sua città costantemente sotto la pioggia per l'inquinamento, confusa e schiacciata da costruzioni inquietanti e barocche, rimanda a una società oppressiva e paranoica, da cui il protagonista (com'era nelle tradizione del noir) cerca più di difendersi che di integrarsi. Scott riduce al minimo i momenti di intimità, di analisi psicologica dei personaggi, facendo emergere il proprio latente pessimismo e sottolineando l'inumanità del contesto sociale, che la colonna sonora di Vangelis (con la canzone One more kiss, dear) rende ancor più struggente. Manipolato dalla produzione (che impose un commento off e soprattutto un finale posticcio e consolatorio: Rick e Rachel se ne vanno verso un futuro ecologico), il film mantiene comunque una grande forza visiva, enfatizzata dall'uso sistematico del controluce in funzione antinaturalistica. Nel 1991 è stata presentata la versione "originale" del film, montata secondo il volere del regista (Blade runner - The director's cut) lunga solo 117': è stata tolta la scena finale "ecologica", sono state aggiunte alcune piccole sequenze (tra le quali quella in cui Deckard sogna un unicorno). La soppressione del commento off toglie alla prima parte del film l'atmosfera noir che contribuiva molto al suo fascino.

I MISTERI DEL GIARDINO DI COMPTON HOUSE
(The draughtman's contract, Gb 1982, col., 108')
di Peter Greenaway. Con Anthony Higgins, Janet Suzman.

Inghilterra, 1694: in una magione di campagna un disegnatore (Higgins), cui è stato affidato il compito di immortalare la tenuta in dodici disegni, arrotonda il compenso pattuito godendo dei favori della moglie e della figlia del padrone di casa. Ma dai suoi disegni -caso o malizia?- emergono allusioni a un delitto appena perpetrato: e l'artista pagherà cara la pretesa che i suoi disegni siano più veri del vero. Il film che ha rivelato Greenaway al pubblico internazionale sembra un giallo in costume scritto da Georges Perec. Più apparenza che sostanza, anche se non mancano riflessioni sulla pittura e lo sguardo, l'arte e il potere e una debole morale sociale - l'arroganza plebea del pittore è umiliata fino alla morte - e soprattutto il piacere di instaurare mistero e dubbio in un mondo che si vorrebbe cristallino e perfetto. Musiche di Michael Nyman.

LE RELAZIONI PERICOLOSE
(Dangerous liaisons, Usa 1988, col., 120')
di Stephen Frears. Con Glenn Close, John Malkovich, Michelle Pfeiffer, Uma Thurman, Swoosie Kurtz, Keanu Reeves. 

Nella Francia di fine Settecento la perfida e libertina marchesa di Merteuil (Close) per vendicarsi di un suo vecchio amante che sta per sposare un'illibata giovinetta (Thurman), usa il fascino del visconte di Valmont (Malkovich) per far giungere un po' meno pura la ragazza alle nozze. Ma giocare con gli affetti come fossero scacchi non paga. Frears esordisce a Hollywood adattando la versione teatrale che Christopher Hampton (autore anche della sceneggiatura) aveva tratto dal capolavoro omonimo di Pierre Choderlos de Laclos (adattato nel 1959 da Vadim - Relazioni pericolose - e nel 1989 da Forman - Valmont). Tanto moderno nell'interpretazione quanto accurato nella scenografia, il film aggiorna il conflitto tra amore e passione alla base del romanzo in una crudele battaglia tra i sessi dove dominano denaro e potere. Perfetti gli attori.

EDOARDO II
(Edward II, Gb 1991, col., 90')
di Derek Jarman. Con Steve Waddington, Andrew Tiernan, Tilda Swinton, Nigel Terry. 

Appena incoronato sovrano d'Inghilterra, il giovane Edoardo (Waddington) porta a corte l'amante Gaveston (Tiernan), inimicandosi la moglie (Swinton), i nobili e gli ecclesiastici. Il film è liberamente tratto dall'opera omonima di Christopher Marlowe, con una rilettura in chiave di "politica sessuale" che sembra tener conto della versione brechtiana degli anni Venti: Jarman rinuncia alla ricostruzione storica (recuperando la vera messinscena elisabettiana, spoglia e completamente basata sul lavoro degli attori) per concentrarsi sulla contrapposizione tra vita privata e ragion di stato, attualizzata mediante l'inserimento di scontri di piazza tra omosessuali e polizia. Sobrio, elegante e crudele, è probabilmente il film migliore dell'eccentrico regista che si avvale di un cast straordinario, in cui spicca Tilda Swinton (premiata a Venezia), sofisticata regina dal guardaroba anni Sessanta. Breve apparizione di Annie Lennox che canta (straordinariamente) Every time we say goodbye di Cole Porter.