Prima che i sali d'argento sui dagherrotipi (e poi le radiazioni sulle lastre) fissassero in immagini riproducibili ciò che si nasconde dentro
il corpo, la scienza si serviva dell'occhio degli artisti. Questi sapevano valutare la forma delle ossa, degli organi e dei muscoli esattamente
come i cerusici, ma in più disponevano degli strumenti per rappresentare il corpo in tavole anatomiche di grande verità.
La mostra di Palazzo Poggi illustra in oltre 200 dipinti, disegni, sculture, incisioni e codici il rapporto di scambio tra scienza e arte, che
permetteva al medico lo studio dei disegni fuori dall'obitorio e all'artista di acquisire nuove abilità nella rappresentazione plastica dei
soggetti umani.
L'esposizione procede dagli esordi della disciplina, dovuti al manuale di Anathomia compilato da Mondino sulla scorta dei modelli classici e
arabi, al genio pratico e artistico di Leonardo. Documentato con otto disegni provenienti dalla Royal Library. Poi, nel XVI secolo, il sapere
potrà contare su un nuovo strumento di diffusione e riproduzione sempre esatta in ogni copia: il libro a stampa. E il De humani corporis fabrica
di Andrea Vesalio si gioverà di tavole realizzate dalla bottega di Tiziano.
Ma il punto di partenza resta l'osservazione durante la dissezione del cadavere: come Padova, anche Bologna si dotava di teatri anatomici. E
depongono a favore del grande significato sociale della lezione anatomica le opere che le gilde dei chirurghi olandesi commissionano tra Sei e
Settecento a Aert Pietersz e Michial van der Meer.
Di questo salto di qualità nella rappresentazione si giovano i teschi e le ossa che il Barocco dissemina sulle tele, nei temi della vanitas e
del memento mori.
Il percorso espositivo si conclude nelle stanze del Museo che ospitano le statue e i preparati anatomici in cera dell'Istituto delle Scienze.
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Bestie benigne scelte come totem. Bestie custodi del futuro nelle viscere, nel volo, nei versi che i sacerdoti sanno interpretare. Bestie
vestite da uomini nelle favole come gli uomini si travestono da bestie nel carnevale, rese portatrici di vizi, virtù e della parola morale.
Scambi e contatti tra la natura animale e l'umana fino alla relazione più ambigua ed estrema: l'unione di uomo e bestia.
Il percorso espositivo del MART, curato da Lea Vergine e Giorgio Verzotti, parla di questo incrocio e dei suoi ibridi nell'immaginario visivo
occidentale. Quasi 180 opere e due secoli di tendenze e sensibilità, dai Simbolisti all'ipercontemporaneo Cattelan. Eccezionali prestiti dal
Louvre, dal Centre Pompidou, dal Victoria and Albert Museum di Londra, Collection Museum of Contemporary Art di Chicago, Neue Pinakothek di
Monaco, l'Alte Nationalgalerie di Berlino, Uffizi.
Opere di Von Stuck, Barney, Klinger, De Chirico, Magritte, Picasso, Bacon, fino ai recentissimi lavori di Haronitaki, Maraniello, Ontani. Che
riassumono archetipi senza tempo: dalla mitologia alla manipolazione genetica.
I riferimenti culturali del passato sul tema del divenire animale sono offerti da opere più risalenti: vasi e i bronzetti greci e romani
raffiguranti i protagonisti di miti e leggende, le visioni oniriche delle incisioni di Albrecht Dürer, lo splendido Giudizio di Re Mida di
Cima da Conegliano, L'uccellatore dell'Arcimboldo, ma anche l'Arrigo Peloso, Pietro Matto e Amon Nano di Carracci, e le incisioni di Goya.
Ma, se questo è il cervello della mostra, il suo cuore sono tre straordinarie opere di Francis Bacon: Chimpanzee, Portrait of Michel Leiris e
Sphinx, dove la perdita di controllo razionale fa prevalere la corporeità e gli istinti, anche nelle fisionomie.
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